giovedì 14 maggio 2020

Roberta Arcuri: Lettera aperta a ...

Mi chiamo Roberta Arcuri, ho 18 Anni vivo a Palermo e sono nata con una malattia rara della pelle che si chiama “nevo melanocitico congenito gigante”.

Alla mia nascita i miei genitori erano all’oscuro di tutto e i dottori non sapevano di cosa si trattasse. Vi lascio immaginare la situazione dicendovi che il mio papà, quando mi vide, svenne. In poche parole, la mia pelle è formata da due colori perché un neo copre il 70% del mio corpo. Per fortuna la mia famiglia mi ha sempre supportata, così la mia mamma da piccola mi iscrisse a danza per farmi prendere consapevolezza del mio corpo, guardandomi allo specchio, e per crescere più sicura di me stessa. Quando danzavo sentivo, sempre, quello che non provavo per il resto della giornata. E sì, mi sentivo meglio e proprio bella! Ballando potevo dare il meglio di me, potevo decidere io come essere e chi volevo essere; quando sono nata invece, non ho scelto io come essere.


Le difficoltà però venivano fuori anche in questo contesto. In particolare nello spogliatoio e nel rapporto con l’abbigliamento. Le mie compagne di danza indossavano sempre quei bellissimi body scollati e in estate li portavano anche senza calzamaglia. Durante i miei primi anni di danza invece io usavo dei body particolari. Non erano scollati, anzi, erano più coprenti del normale. In estate, infatti, preferivo soffrire il caldo piuttosto che danzare con le gambe nude. Con lo spogliatoio poi avevo un pessimo rapporto: ero triste perché le mie compagne si recavano lì per cambiarsi o per commentare nei pre e post lezione; io invece mi cambiavo sempre a casa per non farlo dinanzi agli altri e quindi a scuola di danza mettevo su un cappotto e via, senza mai passare neanche per sbaglio per gli odiosi spogliatoi. Lo specchio è sempre stato un nemico per me. Guardarmi mi creava terrore, mi sentivo davvero diversa dalle altre, non solo oggettivamente ma diversa nel modo di essere, una conseguenza del mio aspetto fisico.

Ad oggi, dopo aver fatto un immenso lavoro su me stessa negli anni, è tutto diverso. A danza mi sento molto a mio agio e amo ballare con un abbigliamento scollato per dare il meglio di me. Amo passare del tempo insieme alle mie compagne nei “fatidici” spogliatoi, insomma mi sento al 100% me stessa. Tuttora la danza è una delle mie grandi passioni ed è anche grazie a lei che mi ritrovo a parlare così della mia malattia.

Insomma, la mia infanzia non è stata facile e continua a non esserlo la mia adolescenza da alcuni punti di vista, ma ad oggi penso che la mia diversità sia il mio punto di forza. Nella mia infanzia è stato importante far parte dell’Associazione Italiana della mia malattia Naevus Italia Onlus che mi ha dato la possibilità di incontrare, ogni anno, bambini, ragazzi, adulti come me. È sempre magnifico confrontarmi con loro.

Da piccola ho avuto tanti momenti in cui la paura mi ha assalita. Era un incubo quando si avvicinava l’estate e quindi avrei dovuto indossare un abbigliamento estivo e soprattutto il costume. Mi preoccupava parecchio il momento in cui sarei dovuta andare al mare; infatti fino a circa un anno fa indossavo il costume intero e coprente. Solo dopo che ho trovato il coraggio di pubblicare una delle mie foto sui Social e soprattutto dopo aver fatto conoscere la vera me, ho iniziato a indossare il bikini, che è sempre stato un sogno per me. È inutile negare che da piccina mi facessi tante domande: per quanto riguardava un futuro fidanzato, per esempio, pensando a come parlare o raccontare della mia diversità. Non volevo far preoccupare i miei genitori e molte volte non parlavo con loro di certe mie paure.

E in spiaggia? Tutte le domande e gli sguardi imbarazzanti? Uno dei ricordi peggiori è di quando, in compagnia di amiche, incontrai dei ragazzi che mi diedero del cane, nello specifico un “dalmata”: sì, proprio un cane. È stato molto difficile quel momento e non vedevo l’ora di tornare a casa. Oggi mi piacerebbe sapere cosa le persone pensano nel guardarmi, sia positivamente che negativamente. E adesso posso anche dire che mi piace essere “diversa” nonostante tutti i momenti passati.

Credo sia utile parlare della mia situazione, non solo per me ma anche per chi come me è nato “diverso” e anche per spargere un po’ la voce su questa malattia dato che non è neppure riconosciuta dallo Stato e dalla sanità Italiana.

Concludo dicendo che per sentirsi belle non bisogna essere perfette, ma bisogna solo crederci. Molte volte sono i difetti a rendere bella una persona. 


Profilo Ufficiale: @robiarcuri