In
occasione di Milano Moda Donna, Antonio Marras presenta la sua nuova
Collezione A/I 2018-19.
Pare che John Marras fosse un mio antenato. L’ho scoperto quasi per caso e stentavo a crederci ma una fitta corrispondenza e un diario di bordo ritrovato a Istanbul, allora Costantinopoli, e la solerzia di un appassionato di alberi genealogici lasciano pochi dubbi. Tutto è iniziato nel 1772 in Francia, a Reims dove il mio antenato Jean Antoine Marras è nato e si è distinto per la maestria nella miniatura. Si dice di lui che fosse prestante, sagace e affamato d’avventura e sebbene avesse una famiglia agiata, una dimora confortevole e una felice predisposizione all’arte, era vissuto in questo mondo per quasi ventun anni con il desiderio di viaggiare per mare, conoscere le nuove terre di cui tanto si favoleggiava e raggiungere infine Costantinopoli, dove la scuola bizantina aveva raggiunto livelli celestiali. Magari passando per le Americhe, circumnavigando la terra, riuscire dove Colombo stesso aveva fallito.
Era
il minore di due figli di un padre affettuosissimo e indulgente e, in
seguito al matrimonio del fratello, aveva assunto assai presto il
ruolo del beniamino di casa. Questo rendeva molto difficile far
accettare al padre i suoi sogni di gloria. Ma da troppi anni aveva
fantasticato di mari e leggende perché potesse desistere e cosi
decise di arruolarsi, di raggiungere Marsiglia nottetempo e di
imbarcarsi sul primo vascello disponibile.
Della
fuga ci sono poche tracce ma documenti ufficiali lo annoverano nella
flotta francese al comando del controammiraglio Laurent Truguet nel
mar di Sardegna.
Il
comandante francese, con cui il marinaio Marras condividerà destino
e fama al punto da suggellare un’amicizia quasi fraterna, si
apprestava a conquistare l'isola di Sardegna
bombardando
Cagliari
con
una
flotta
di
venti
vele,
tra
cui
quattro
bombarde
e
sette
vascelli
di legno,
quando fra le truppe da sbarco scoppiò un'insurrezione
che lo costrinse a togliere l'assedio
e
ad
inviare
a
terra
una
delegazione
di
venti
marinai
tra
i
quali
il
giovane
Marras
per
parlamentare coi sardi, chiedendone la
resa.
Si
racconta che Jean, appena sbarcato incrociò lo sguardo di una
popolana e se ne innamorò perdutamente. Si trattava di Bonaria di
Sanluri, discendente da la Bella di Sanluri, donna di straordinaria
bellezza, che aveva vendicato i sardi, molti anni prima, uccidendo
Martino I d’Aragona re di Sicilia a furia d’amore. Bonaria si
lasciò conquistare da Jean proprio per emulare le eroiche gesta
della sua antenata e, come lei, rimase incinta. Quando il
contrammiraglio francese, ormai sconfitto dalla fiera gente sarda,
richiamò a bordo nostromo, commodoro e marinai per darsi alla fuga,
Jean lasciò a malincuore la bella di Sanluri. Bonaria non volle o
non poté seguirlo. Ma restare a Cagliari era impossibile. Troppo
difficile giustificare un figlio di padre francese e fu costretta ad
esiliare. Si rifugiò al nord, ad Alghero, nella colonia catalana.
“Bonita, por
mi fé,
y bien
assentada“, ha
detto,
giustamente,
Carlos V
della nostra cittadina, quando in viaggio verso Algeri ha dovuto
riparare con tutta la flotta, nella nostra insenatura a causa di una
tempesta. E ci ha
anche fatto tutti cavalieri. “Estad todos
caballeros“
ha urlato
affacciandosi
dalla
finestra
del palazzo
De Ferrera
in piazza
Civica. Anche
se qualche
malalingua
invidiosa e
spergiura,
sicuramente
dei paesi
limitrofi,
assicura che,
a bassa
voce, abbia
aggiunto
“Sin
espada y
sin
dinero”.
L’
Alguer,
per
noi
figli
di
mercanti
e
pirati,
era
città
fortificata
e
sicura.
I
costumi
erano
molto
permissivi e gli abitanti accoglienti e noncuranti, abituati a gente
di ogni dove, luogo ideale per
una
ragazza
madre
che
non
voleva
dare
spiegazioni
a
nessuno.
Nel frattempo ritroviamo Jean in America, a New York, dove era
arrivato navigando sulla fregata
Atalante
sempre
al
seguito
del
controammiraglio
Truguet.
A
New
York
trascorse
vari anni
dedicandosi
alla
pittura
in
miniatura
e
aprendo
anche
una
bottega
nei
pressi
dell’
Hudson
river. Fu
in
quel
periodo
che
il
suo
nome
venne
inglesizzato
e
da
Jean
divenne
John,
come
poi
è passato
alla Storia con la ESSE
maiuscola.
Ma
il richiamo del mare e di quella terra selvaggia dove aveva trovato
l’amore era troppo forte e si rimise in viaggio. Viaggiò in
Spagna, in Gran Bretagna, in Egitto, in Marocco, nelle Canarie, ma in
Sardegna non ritornò mai più sebbene avesse cercato, disperatamente
e ostinatamente, di raggiungerla in tutti i modi. Una
volta ci arrivò vicinissimo. Si trattava della Corsica e pare che,
ricevuto a casa Bonaparte, Elisa, sorella del futuro imperatore, si
infatuò di lui. Ma John, testardo come un sardo marino doc, aveva in
mente solo Bonaria e rifiutò l’allettante partito. Ah, quanto gli
costò caro! Fu destituito, con la scusa di un’insurrezione e fu
inviato nell’Oceano Indiano con una divisione di fregate agli
ordini del famigerato Capitan Sercey.
In
età avanzata arrivò, come capitano di corvetta, a Costantinopoli
dove si stabilì sino alla morte,
sopraggiunta
per
malattia,
diventando
capo
del
dipartimento
di
belle
arti
e
pittore
del sublime
Sultano. In
tempi moderni, in uno dei preziosi bauli del palazzo sono stati
ritrovati i manoscritti che raccontano le sue imprese e dove si
indugia sulla straziante nostalgia che John provava per quella terra
inospitale e indomabile che nell’arco di poche ore gli aveva donato
il ricordo più bello della sua vita e il rimpianto più straziante:
quello di non aver mai conosciuto il frutto di quell’amore, ossia
il mio antenato. Si
dice che Bonaria Marras, una volta arrivata ad Alghero, avesse dato
alla luce un figlio che chiamò J. Antoine e ne conservò il cognome
in onore del padre francese. Il primo impulso fu di abbandonare J.
Antonie sulla ruota del convento al carrè de la rora, dove venivano
messi tutti i figli di nn in modo che le suore se ne prendessero
carico.
Ma
Bonaria, fiera e orgogliosa, decise di tenere J. Antoine e di
dedicargli la vita senza mai andare in sposa a nessuno sebbene molto
richiesta in virtù di una bellezza fuori dal comune. J. Antoine
crebbe bello, selvaggio e testardo, un vero sardo marino. Il degno
progenitore di mio zio Antonino Marras, detto Zietto. A Zietto devo
il suo nome. un orologio Costantin Vaucheron in oro zecchino, regalo
di comunione e il suo guardaroba, lascito testamentario. Ho sempre la
sua fotografia incorniciata sul mio comodino. Piano americano, a tre
quarti, come si conviene a un personaggio di spessore. Gelatinato,
ben rasato, basetta in evidenza, sguardo sicuro e magnetico.
Elegantissimo, come del resto l’ho sempre visto, nel suo cappotto
dal taglio impeccabile, camicia immacolata con cravatta selezionata
con cura. Un leggero perlage sulle guance, forse dovuto alla foto
ritoccata. Sembrava più un attore di Hollywood degli anni 30 che un
minjons dell’Alguer abituato, al primo raggio di sole, a scendere
correndo al solario con gli zoccoletti e tuffarsi dagli scogli per
catturare polpi con le mani.
Zietto
era partito per mare con una seconda ondata di migrazione proveniente
da tutta la Sardegna. Molti dei suoi amici erano già partiti e dalla
lontana Argentina arrivavano racconti mitologici. In
realtà sono sicuro che lui sia partito più per gliua, noia come si
dice da noi, che per spirito d’avventura, troppo faticosa, e
senz’altro non per indigenza, dal momento che la sua famiglia se la
passava piuttosto bene. Io, ovviamente, non ho ricordi di Zietto
prima della sua partenza ma i racconti di mia madre, sua cognata,
sono sempre stati minuziosi e pieni di ammirazione. Lui era il bello
della famiglia, il casanova, il più intraprendente, il più
divertente, il cocco di mamma, il preferito insomma di nove figli,
cinque figli di primo letto e quattro del secondo di Beppa La Zangara
(così si chiamava mia nonna), un donnone imponente, dai tratti più
germanicislavi che sardi nel senso che intendiamo comunemente, alla
Grazia Deledda, per intenderci. Autoritaria., molto autoritaria. Del
resto era lei che portava avanti la baracca, era il perno di tutta la
famiglia allargata.
Comandava
tutti a bacchetta, si rivolgevano a lei per sciogliere ogni problema
che lei, in maniera salomonica, non esitava a risolvere. Era soggetta
a feroci antipatie e a dolcissime simpatie, per fortuna mia mamma era
annoverata nella seconda categoria e infatti non perdeva mai
occasione di tessere le lodi di questa madre-matrona. Comunque
Zietto parte, si sa che raggiunge prima Rio de la Plata dove un suo
amico aveva sposato una “porteña” e poi arriva a Buenos Aires,
quartiere La Boca.
Di
fatto è ritornato ricco e famoso dopo circa un decennio, incapace,
dice, di resistere a quella “nostalgia”
di chi va per chi resta e viceversa. Il sogno di andare tornando, lo
chiamo io. “Sono
tornato a Orani, annunziato dalle tue comari <<ricco e
potente è>> hanno detto, <<meschino>>, hai
risposto, <<costretto a vivere in terre straniere>>.
Scriveva Costantino Nivola.
Nei sui viaggi ha incontrato donne sole, angosciate dal destino ignoto, altre felici perché quello che lasciavano era senz’altro peggio. Chi viaggiava per raggiungere qualcuno, chi per realizzare un sogno. Ha incontrato ballerine, maestre, sarte, scrittrici, attrici, fotografe e cantanti. Ha incontrato uomini, storie, personaggi. Un coro di clandestini in cui convivono voci, affetti, percezioni, colori, profumi, ricordi, stoffe, compleanni, significati e sogni. Progetti e trame e racconti che portano con sé una sorta di mare increspato, in continuo mutamento.
In
prima classe uomini d’affari eleganti e contesse ingioiellate, in
seconda commercianti e donne sognanti di ricongiungersi con l’amato
e la terza, dolore e sgomento. Indossano un guardaroba maschile
rigoroso, elegantissimo, impeccabile, preservato dall’usura del
tempo incastrato con i tessuti femminili oppure vanitosi e seducenti
abiti da sciantosa per alleviare i dubbi di un destino incerto. Le
giacche sono state “smontate“, lavate, per dare un effetto
infeltrito e rimodellate, i materiali riciclati sono impreziositi da
ricami, patchwork e pizzi che arrivano dalla lingerie femminile.
Si
mescolano volumi, forme, fantasie e tessuti. Tessuti che arrivano
direttamente dalle sartorie dei sarti napoletani nei grigi e nei
marroni sono tagliati da jacquard tappezzeria in velluto devorè
tipiche di scialli passati da madre in figlia. Le giacche da uomo in
piede de poule e Prince de Galles sono ingentilite da pizzi e
gioielli. Frammenti di ricami estrapolati da laboriosi e infiniti
lavori femminili e stralci di pizzo Chantilly sono accostati a
tessuti tecnici e gessati neri. E stampe di fiori in voile
leggerissimo si accoppiano a pois, righe e quadri a formare plissè
infiniti. Poi ruote, volant, ruches, inserti, ricami, strass,
fiocchi, pietre preziose di tesori scomposti. Tulli, tantissimi e
voluminosi tulli. Abiti da gransera per ballare e ballare. Animalier
e velluti e rose, incrostazioni di pizzo macramé, ricami e intarsi
su felpe, maglie, pellicce e trench.
E
i colori sono da “drama”: rosso/passione, nero/gotico,
bianco/candore, ecrù/stabilità, grigio/rigore e i tortora/terra
amara. Tessuti in apparenza distanti tra loro per un’assurda
alchimia si accoppiano, si accordano, raccontano il viaggio.
Scomponendosi e ricomponendosi, si fondono. Elementi che arrivano da
lontano con elementi delle terre di passaggio e della terra d’arrivo
e raccontano storie di trasformazione, di cambiamento. Storie di
“saudade”, quella malinconia, quella nostalgia, quello strazio
che abbiamo noi che
siamo
nati in un’isola.
Per
Maggiori Informazioni: www.antoniomarras.com